L'Umbria

La cultura italiana della tavola

La cultura italiana della tavola

Un calendario di iniziative speciali per scoprire e riscoprire la cultura enogastronomica Italiana: ogni mese un “viaggio” stimolante per approfondire eccellenze territoriali e ricette tradizionali, come sempre all’insegna della rivisitazione creativa e della piacevolezza.

Il calendario: 

Giugno 2022 / Il Lazio

Luglio 2022 / La Campania

Settembre 2022 / La Sicilia e la Sardegna

Ottobre 2022 / Le Marche

Novembre e Dicembre 2022 / L’Umbria

Gennaio e Febbraio 2023 / La Toscana

Ingredienti e prodotti regionali protagonisti del mese:

Le ricette Speciali del mese

per iniziare...

A seguire...

PER SAPERNE DI PIù…

Olio E.V.O. (Azienda Viola)

L’Azienda Agraria Viola (Fraz. S. Eraclio, Foligno – PG) si colloca tra le eccellenze dell’Olio Extra Vergine Italiano garantendo alta qualità e innovazione nel rispetto delle tradizioni.

Tra i maggiori premi vinti nel 2022:

Migliore NUOVO EQOO dell’anno – IL SINCERO – “Premio il Magnifico” 2022

Premio Grande Olio – COLLERUITA – “SLOW FOOD Guida Agli Extravergini” 2022

BEST OF THE WORD – IL SINCERO “Monocultivar Olive Oil EXPO”

GOLD – INPRIVIO – “Monocultivar Olive Oil EXPO”

Premio Finalista EXTRA VERGINE – IL SINCERO – Concorso Nazionale ERCOLE OLIVARIO

Premio Finalista DOP/IGP – COLLERUITA – Concorso Nazionale ERCOLE OLIVARIO

1° Premio DOP Umbria Assisi Spoleto – COLLERUITA – Concorso Regionale Umbria

Premio 5 Gocce Eccellenza Assoluta – COLLERUITA – Guida L’OLIO BIBENDA

Premio 5 Gocce Eccellenza Assoluta – Il SINCERO – Guida L’OLIO BIBENDA

Miglior olio evo dell’ Umbria 2022 “COSTA DEL RIPARO BIO” – AIRO

Fojata

(da Umbriatourism)

Tipica della tradizione culinaria della Valnerina, la fojata è una ricetta dalle origini antiche. Un tempo veniva cotta sotto la brace, in capienti teglie di rame o negli antichi forni a legna.

È una torta salata composta da una sottilissima sfoglia di pasta croccante arrotolata, contenente una saporita farcitura di erbe di campo – oppure bietole o cicorie – pecorino, olio extravergine di oliva e noce moscata. Si serve tiepida o fredda ed è l’ideale per un pratico secondo piatto o un aperitivo dal gusto sfizioso. 

Il tartufo nero – L’Azienda San Pietro a Pettine

San Pietro a Pettine (Trevi, PG) è un‘azienda Umbra che da decenni si occupa di coltivazione, raccolta e lavorazione di tartufi bianchi e neri.

Il tartufo nero estivo (Tuber Aestivum Vitt.)

Periodo di raccolta: dall’ultima domenica di Maggio / 30 agosto

Il tartufo estivo è senza dubbio la varietà più comune presente in natura, di grandezza variabile e caratterizzato dal peridio rugoso e piramidale e da una gleba che va dal giallastro al nocciola.

Profumazione leggermente aromatica, sapore delicato.

La Cipolla di Cannara

(da Wikipedia)

La coltivazione della cipolla a Cannara (PG) ha origini molto antiche e si è sviluppata per la particolare conformazione del terreno prevalentemente sabbioso-limoso di origine lacustre e l’abbondante presenza di acqua nel sottosuolo.

I produttori, detti localmente cipollari, sono per lo più a conduzione familiare e tramandano le tecniche di coltura oralmente di padre in figlio, in alcuni casi da oltre 4 generazioni. Nel 2003, sotto il patrocinio del comune, è stato istituito il «Consorzio Cipolla di Cannara», che raggruppa la maggior parte dei coltivatori e produttori di cipolla locali.

La cipolla di Cannara è riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale (P.A.T.) dal Ministero delle politiche Agricole, Alimentari e Forestali italiano. Inoltre la cipolla di Cannara è stata riconosciuta dall’Associazione Slow Food come Presidio fino al 2007 e come Arca del gusto fino al 2008.

In realtà, la denominazione di questo prodotto non deriva da quella di una varietà locale di cipolla, che probabilmente non è mai esistita, ma dalla localizzazione geografica (ambiente, terreno e clima), dalla pratica agronomica e dalle particolari proprietà organolettiche che conferiscono alla cipolla di Cannara una sua tipicità e una sua straordinarietà. Tecnicamente, quindi, sarebbe più corretto parlare di cipolle coltivate a Cannara, perché sono almeno tre le varietà prevalentemente lavorate:

Cipolle coltivate a Cannara:

  • Rossa
  • Dorata
  • Borettana o piatta (dal bulbo appiattito e di color giallo ambra)

Tuttavia il seme viene, ancora oggi, autoprodotto da alcuni cipollicoltori, così che, accanto alle cultivar sopra citate, è probabile la presenza di alcune varietà locali.

Le caratteristiche delle varietà di cipolle coltivate a Cannara sono diverse ma le unisce un’innata dolcezza, morbidezza e digeribilità. La Borettana o piatta è perfetta per essere fatta al forno, mentre le altre sono ideali per ogni tipo di soffritto o cottura in abbinamento ad altri cibi. In particolare la dorata è ideale per i sughi, la pizza e le zuppe mentre la rossa si può consumare anche cruda in insalate o crostoni oppure si può impiegare per marmellate e composte.

Pane di Stroncone

(da Umbriaexperience)

Un pane tradizionale a due lievitazioni fatto con il lievito madre che si tramanda da più di 100 anni; il tutto rigorosamente senza sale.

A Terni il pane, quello sciapo (insipido) è baluardo della tradizione e viene fatto ancora come “una volta”: farine locali, pasta madre, acque di sorgenti naturali e tempi di lievitazione lunghi.

Numerose sono le teorie che tentano di trovare una giustificazione al suo essere insipido: dalla più diffusa che ricondurrebbe la causa alla Guerra del Sale di Perugia durante la quale la città insorse contro papa Paolo III per un nuovo aumento della tassa sul sale, a quella che riconoscerebbe l’origine nella lontananza dal mare della regione e quindi agli elevati costi di trasporto del sale, ad un’altra ancora che individuerebbe in questa peculiarità la conseguenza della tradizionale dieta del territorio ricca di salumi e formaggi, per i quali i contadini avrebbero utilizzato tutto il poco sale che potevano permettersi. Tutte ipotesi smentite nel 2011 dagli studi di Zachary Nowak, docente all’Umbra Institute ed esperto di storia alimentare italiana, nel saggio Il pane sciapo e la Guerra del sale di Perugia che lascia un alone di mistero attorno a questa intrigante questione.

Oltre ad essere al centro di poesie e canti dialettali di illustri personaggi, il pane di Terni ha rappresentato soprattutto il nutrimento per gli uomini comuni, dai contadini agli operai, da quelli che nelle bettole, mentre si spillava il vino, tra una chiacchiera e l’altra lo “spizzicavano” insieme a qualche ghiottoneria, fino a quegli altri che nei vecchi frantoi, altro luogo di ritrovo, lo degustavano immancabilmente insieme all’olio nuovo.

Ancora oggi il pane di Terni, e quelli di alcuni paesi del suo comprensorio come Strettura, Montebibico, Stroncone, Lugnola e altri, è riconosciuto come una prelibatezza e un prodotto di alta qualità, che si fa ricondurre alla leggerezza delle acque del territorio e alla bravura dei suoi panificatori, tanto da essere consumato non soltanto in Umbria ma in tutta Italia. Una delizia per il palato e un prodotto che racchiude in sé la storia di un territorio.

Cardi detti Gobbi

(da mauriziotommasini)

C’è chi li chiama cardi, c’è chi li chiama gobbi. Sono piante antiche, dalle grandi coste e dai fiori vistosi. Hanno interessanti proprietà nutritive e sono alla base di molte ricette della tradizione, tipiche dei mesi invernali.

Il cardo, Cynara cardunculus var. altilis, è un pianta nativa dell’area del Mediterraneo, parente stretta del carciofo, che ricorda un poco nel sapore, decisamente amaro.

Il cardo appartiene alla famiglia delle Asteracee, è una pianta erbacea perenne, quiescente nella stagione secca, attiva durante i mesi invernali quando l’apporto idrico è maggiore. Rispetto al cardo selvatico, da cui discende, è più grande, con coste lunghe e tenere e steli esterni più duri e robusti, talvolta ricoperti da spine.  In genere le parti esterne e le foglie sono eliminate e si mantiene la parte interna più tenera e gustosa, rimuovendo se necessario le nervature più grandi. Spesso il cardo viene coltivato ricoprendolo parzialmente con terriccio: crescendo alla ricerca della luce la pianta si incurva e per questo motivo in molte zone d’Italia i cardi vengono chiamati gobbi. Ricoprendo lo stelo con carta si ottiene invece una pianta diritta, dalle coste bianche e tenere.

L’origine è antica ma non del tutto chiara. Forse già greci e romani coltivavano carciofi e cardi, ma le prime tracce storiche sicure risalgono al 1600, quando esemplari di cardo compaiono in nature morte di illustri pittori italiani e spagnoli. Tuttora si tratta di un vegetale la cui coltivazione è diffusa soprattutto in Italia, Spagna e Francia. Meno diffuso e noto in altre parti del mondo, con coltivazioni apprezzabili in Argentina ed Australia. Particolarmente rinomato il cardo gobbo di Nizza Monferrato, dalla tipica forma ricurva e dalle coste bianche e tenere.

Le proprietà nutritive dei cardi

Attualmente per il cardo e per le sostanze presenti non esiste un corpus rilevante di ricerca scientifica. L’abbondante componente fenolica presente negli estratti li rende comunque un interessante soggetto di studio relativo alla loro attività antiossidante. Altro composto indagato è la cinarina, che in diversi studi ha mostrato di poter determinare una riduzione significativa dell’ipercolesterolemia. Altro gruppo di sostanze presenti nel cardo e attualmente studiate per la loro potenziale attività antinfiammatoria e citotossica sono i sequiterpeni lattonici.

Il cardo gobbo di Nizza Monferrato dalle tipiche coste bianche e ricurve, tenere e saporite

Il cardo in cucina

La cucina italiana è ricca di ricette che prevedono l’utilizzo di cardi, dai primi, ai secondi, ai contorni, e praticamente ogni regione ha un suo piatto tipico che prevede l’utilizzo di questo coriaceo vegetale. In Molise, questa terra mitica, i cardi si usano per preparare zuppe, mentre in Romagna si fanno in umido, facendoli soffriggere con del lardo. In Toscana si mangiano gratinati o alla parmigiana mentre in Campania sono addirittura protagonisti di primi piatti natalizi come il Cardone Beneventano, una ricca minestra con carne ed uova. Probabilmente tutti li hanno mangiati accompagnati da una salsa di acciughe, una delle tante varianti della bagna cauda piemontese, squisita preparazione a base di acciughe, aglio, olio e latte o burro, da servire calda accompagnata da un misto di verdure, tra le quali dovrebbe sempre essere presente il gobbo di Nizza Monferrato.

Torta al Testo

(da Wikipedia)

La torta al testo, conosciuta anche come crescia (nell’eugubino-gualdese) o ciaccia (nella Valtiberina), è un prodotto alimentare tipico della gastronomia umbra.

Essa si compone di un impasto di acqua, farina, bicarbonato e sale, a cui viene data forma piatta e rotonda; nella sola variante tifernate è previsto l’uovo come ingrediente. La cottura avviene da tradizione su una piastra rotonda in ghisa detta testo, da cui il nome del prodotto.

 

La torta al testo ha origini antiche, nascendo come alternativa non lievitata al pane tradizionale. Ne esistono due varianti: quella originale con farina di frumento, e quella con farina di mais nata dopo l’importazione di quest’ultimo cereale dalle Americhe.

Il piano di cottura, un disco dello spessore di circa 3 cm, è chiamato testo dal latino testum, ovvero la tegola in laterizio sulla quale, nella Roma antica, venivano cotte le focacce. Originariamente si fabbricava in casa scolpendo grosse pietre refrattarie, oppure modellando un impasto di argilla e ghiaia molto fine; in tempi moderni è possibile acquistarlo in ghisa o cemento.

La ricetta prevede come ingredienti farina, acqua, bicarbonato e sale. Per preparare la torta al testo si deve versare la farina a fontana sulla spianatoia, unire con un pizzico di sale e uno di bicarbonato e acqua, in quantità sufficienti a ottenere un impasto consistente ma morbido. Ricavarne un disco dello stesso diametro del testo che va successivamente bucherellato con i rebbi di una forchetta. Riscaldare il testo sulla fiamma e, quando la piastra è calda, gettare una manciata di farina sulla superficie. Allorché diventerà scura, ma senza bruciare, il testo sarà pronto. Disporre la torta e farla cuocere da entrambi i lati, e servirla ancora calda. Si può condire a piacere con salumi, formaggi, erbe o carni.

In alcune varianti locali, la torta al testo può anche essere insaporita con latte, uova, pecorino di Norcia, burro, e pepe.

Torta Crescionda

(da ricettedellanonna)

La crescionda è il tipico dolce del Carnevale di Spoleto. Di antichissima origine, il suo nome deriverebbe da “crescia unta”, una variante dolce della tipica focaccia che viene preparata sin dal Medioevo in Umbria e nelle Marche.

La variante originale della crescionda non era dolce, bensì agrodolce: la si preparava, infatti, utilizzando uova, pangrattato, brodo di gallina, pecorino e cioccolato.

Oggi ne esistono tre varianti principali: la crescionda di mele, la crescionda poretta e la crescionda “a tre strati”, ovvero la più celebre e diffusa. Nella versione originale, i tre strati sono composti rispettivamente da amaretti, budino (o comunque una consistenza simile) e cioccolato.

La consistenza è peraltro simile quella della torta magica, pertanto otterrete una torta magica agli amaretti.

Pin It on Pinterest

Share This